Psicologia

La PCOS allo specchio: origine di un rapporto complicato

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Culturalmente siamo abituate a pensare al corpo e alla mente come a due cose connesse ma diverse, fatte di sostanze differenti: ci immaginiamo come una specie di matrioska in cui la mente è contenuta dentro alla materia corporea. Ma è davvero così?

Quando parliamo di identità, questa differenza dentro-fuori si rivela inutile in quanto l’identità corporea non sta tanto “dentro” al corpo, ma nel riconoscimento che viene fatto dagli altri, a conferma della nostra identità. Questo accade perché il corpo, ed in particolare alcune sue parti, sono portatori di un valore culturale molto specifico: esso concorre a definire il senso di identità personale.


Distinguo l’identità corporea da quella personale (che include anche l’identità corporea) per aiutarvi a comprendere quanto una valutazione di aspetti solo fisici in realtà abbia una fortissima influenza anche sul modo in cui mi definisco come persona.
Vi spiego perché. Partiamo da alcuni esempi.

Pensate all’identità sessuale e di genere: la barba e il seno sono “caratteri sessuali secondari” che nella nostra cultura definiscono in modo particolare e specifico l’appartenenza ad un genere o ad un altro genere. Eppure non solo le donne hanno il seno e non solo gli uomini hanno la barba. Tuttavia sulla base di queste due caratteristiche corporee, noi attribuiamo una serie di altre qualità alla persona, come appunto la sua appartenenza ad un genere.
Ma pensate anche alla rotondità dei corpi e alla differenza di significati che socialmente vengono attribuiti alla persona con un fisico morbido ed oversize piuttosto che con un corpo scultoreo o asciutto.

Chi ci segue su Instagram avrà senz’altro partecipato al piccolo esperimento che vi ho proposto: vi ho chiesto di associare in modo istintivo alcune parole fra quelle da me proposte. I risultati sono stati in linea con quelli delle ricerche nel campo della psicologia sociale: ad un fisico magro si associa l’idea di felicità; ad un corpo bello si associa l’idea di socialità e alla capacità di avere molti amici; ad un fisico oversize si associa l’idea di trasandatezza, infelicità, ma anche di simpatia.
Sono tutti stereotipi socialmente condivisi.

Capite bene che essere belli non c’entri nulla con la capacità di stringere relazioni e costruirsi una rete sociale, così come essere magri non predispone alla felicità e l’obesità può andare a braccetto con la cura di sé e del proprio aspetto.

Eppure, a partire da aspetti del corpo noi tendiamo a farci un’idea (un pregiudizio, pre-giudizio, giudizio prima della conoscenza diretta) di quella persona, solo ed esclusivamente sulla base della sua fisicità. Questo accade quando guardiamo e valutiamo gli altri ma anche quando guardiamo e valutiamo noi stesse.

È sulla base dei significati sociali che infatti impariamo a definire la nostra identità personale: essa dipende dall’immagine che abbiamo di noi stessi e dall’immagine che gli altri continuamente ci rimandano. Di fronte allo specchio, si attivano due processi:

il primo è il confronto con i canoni estetici dominanti ed è una operazione mentale abbastanza consapevole. Quando valutiamo la nostra immagine per giudicare se ci piacciamo o meno, è un po’ come se guardassimo il nostro corpo ponendoci all’esterno: lo trattiamo come se fosse una cosa che ci appartiene, come un abito che indossiamo, e lo guardiamo esattamente come farebbero gli altri. La valutazione della nostra immagine dipenderà da quanto la giudichiamo aderente ai canoni estetici dominanti nella cultura e ritenuti positivi dalla società e delle persone a noi vicine.

Ma davanti allo specchio si attiva anche un processo meno consapevole, legato agli stereotipi di cui vi parlavo prima. Se istintivamente tendiamo ad attribuire caratteristiche di personalità sulla base dell’aspetto fisico delle persone, quando ci confrontiamo col nostro riflesso nello specchio non è mai solo la nostra fisicità che stiamo valutando. Nel guardare alla nostra peluria, alla rotondità del ventre, all’acne, stiamo anche inconsapevolmente guardando anche alla nostra femminilità, simpatia, amabilità, sciatteria. Non stiamo giudicando consapevolmente solo il nostro aspetto, ci stiamo giudicando inconsapevolmente come persone.

Ecco perché il disagio psicologico aumenta con l’aggravarsi dei danni estetici. Gli studi scientifici lo dicono chiaramente: una valutazione negativa del proprio aspetto influisce molto sull’autostima, sulla spinta verso le relazioni sociali e sul benessere emotivo della donna, fino a sviluppare veri e propri disturbi come la Fobia Sociale e la Depressione.
In linea generale, se non sono soddisfatta del mio aspetto, tenderò a sentirmi diversa e inadeguata, questo spesso mi porterà ad evitare situazioni sociali in cui mi aspetto di essere giudicata o di sentirmi a disagio, sarà più facile che mi senta ansiosa, triste, senza speranza.

Quando il disagio diventa importante o influisce sulla qualità di vita in modo significativo, è importante chiedere aiuto ad un/a professionista psicologa/o psicoterapeuta. Le ricerche scientifiche mettono in luce chiaramente i benefici che la donna con PCOS può trarre da un percorso psicologico, in termini di auto accettazione, autostima, miglioramento della sintomatologia ansiosa e depressiva e aumento della soddisfazione per la propria vita.

Dott.ssa Marta Grasso – Psicologa Psicoterapeuta