Alimentazione, Estetica, Psicologia

Body positivity e fat acceptance: intervista a @iononmenevergogno

Iniziamo dunque col presentarti Carmenl’autrice della pagina Instagram @iononmenevergogno e ideatrice dell’omonima campagna social nata nel 2016, con l’intento di sensibilizzare sempre più persone al rispetto verso corpi con particolarità o considerati fuori standard. “Io non me ne vergogno” simboleggia il grido di chi, nonostante la difficoltà di un corpo non accettato dalla società, riesce a mostrarsi senza paura.
Dai un occhio alla sua pagina Instagram e alla sua pagina Facebook.

Cosa si intende per body positive?
La body positivity o body positive movement è per definizione un movimento emerso dall’unione di quelle persone che volevano avere un atteggiamento positivo nei confronti del proprio corpo. Se vogliamo dirla tutta è un termine ombrello, racchiude vari argomenti: l’accettazione del sé (fisico e spirituale), anche se io vorrei si usasse il termine accoglienza quando si parla di sé stessi; la liberazione dei corpi grassi, l’accettazione di tutte le tipologie di corpi e le loro caratteristiche, la lotta contro il body shaming, l’inclusività in ogni campo (anche se qui ci sarebbe da fare una critica al fatto che si sente parlare poco di tutte quelle persone con problemi psichici, l’accettazione totale di queste la vedo ancora molto lontana: io stessa non tocco mai l’argomento, perché lo trovo davvero delicato e non avere competenze in merito è il prerequisito per mantenere la bocca chiusa).

Quando si parla di grassofobia, a cosa ci si riferisce? Mi fai un esempio di grassofobia?
La grassofobia è per l’appunto la paura del grasso, ovviamente non in senso stretto: è quell’atteggiamento negativo che adottiamo nei confronti sia del nostro grasso corporeo, sia del grasso che potrebbe contenere un cibo, sia verso l’adipe altrui.
E’ il disgusto per il grasso tout court.
Ne potrei fare mille di esempi, ahimè: fare una battuta su sé stessi prendendo in esempio un individuo con una fat shape molto diversa dalla propria, ridicolizzando in questo modo la forma fisica dell’altro oppure lamentarsi costantemente, quasi con ossessione, della quantità di cibo che si ingerisce, lamentarsi delle poche calorie bruciate, ecc.
Non molto tempo fa ho visto un meme su instagram:  “ Conte ha detto fino al 3 Maggio – non fino al 3 Mangio”, quasi a demonizzare l’atto di mangiare costantemente in quarantena. Posto il fatto che ognuno esorcizza l’ansia come può e come vuole, il giudizio di fondo che c’è nella frase presa in esempio è sgradevole. Equivale a dire non mangiare più, altrimenti ingrassi = paura di ingrassare.

Quali sono i pregiudizi più comuni che riguardano le persone grasse? Secondo ci sono differenze di genere quando si parla di grassofobia?
Le persone grasse vengono spesso viste come pigre, crapulone, sporche, che portano addosso la croce di chi se l’è cercata (la propria condizione fisica), psicologicamente instabili, disgustose e potrei andare avanti fino a domani.
Non credo che le donne siano più grassofobiche rispetto agli uomini poiché la pressione degli standard di bellezza la subiamo tutti e la applichiamo su tutti, persino sugli animali. Credo però che la donna sia molto più sotto pressione per quanto riguarda i canoni estetici e che tenda ad avere sempre l’ansia di non essere bella abbastanza o all’altezza; l’industria della bellezza ci ha fatto soldi a palate su questo concetto, chi sono io per dire il contrario.

In che modo un corpo grasso nel vivere quotidiano è svantaggiato rispetto ad un corpo magro?
Devo fare una premessa, viviamo in una società a misura di normopeso.
Mi viene in mente ad esempio un autobus che non ha sedili abbastanza larghi per dare posto a chi è super-fat o infinite-fat e questo è un esempio oggettivo. Poi però esistono tante situazioni in cui lo svantaggio non si percepisce perché ormai pensiamo che le cose funzionino in tal modo e questo potrebbe essere il contesto lavorativo. C’è uno studio di Bellizzi e Hasty (1998) e ancor prima di Everett (1990) che dimostra il fatto che i datori di lavoro percepiscono le persone nella fascia più alta del fat spectrum (quelle obese per il BMI) come inadatte alle vendite dirette e più portate per le vendite telefoniche poiché non hanno contatto face-to-face con i clienti.
Per non parlare della fase di assunzione che è sempre un terno all’otto perché anche se tra due candidati non c’è parità di meriti si preferisce formare una persona di bell’aspetto ed apparentemente senza difetti fisici piuttosto che assumere qualcuno con caratteristiche fuori standard ma preparato.
Altri studi dimostrano che le donne in sovrappeso ed obese hanno un alto tasso di insoddisfazione nel luogo di lavoro e questo è dovuto alle continue discriminazioni e al salario più basso, circa il 12% in meno fino agli anni 90.

Che cosa si intende per fat acceptance? Ci fai un esempio di fat acceptance?
Fat acceptance tradotto in italiano è l’accettazione dei corpi grassi o del proprio corpo grasso.
Nato come movimento in contemporanea con la prima ondata di body positive e quelle del femminismo, è la volontà dei corpi grassi di volersi affermare e di dire anche loro: “io esisto”.
Un esempio dei nostri tempi è Lizzo che da donna grassa riesce ad imporsi nello star system come qualunque altra stella del pop, trascendendo le sue caratteristiche fisiche.
Una donna, grassa, nera e rapper con dei testi che raccontano la diversità ce la saremmo sognata nel mondo della musica se in tutti questi anni non si fosse dato sempre più spazio all’accettazione dei corpi grassi, ritenendoli meritevoli di vivere la vita che vogliono. Spero vada sempre meglio e non ci si fermi solo a questo, lei si è presa 8 Grammy ma io vorrei che chiunque si prendesse una fetta di mondo.

I consigli di stile di un’amica o quelli che troviamo sulle riviste, del tipo “se hai un fisico a mela dovresti indossare modelli di abiti di questo tipo per nascondere la pancia” o “se hai le cosce grosse dovresti mettere i tacchi per sembrare slanciata”, sono fat shaming? Cosa distingue un consiglio dal body o fat shaming?
Non credo che si tratti di body shaming, io non lo chiamerei così. Dare dei consigli è lecito altrimenti andrei contro quelli che sono i miei principi di libertà di espressione, però è anche vero che la moda e le regole di stile hanno creato un certo tipo di canone da cui è difficile staccarsi. Il mio consiglio è quello di prendere sempre un po’ tutto con le pinze e mai come regola generale della vita. Se io che sono plus-size voglio indossare righe, pois e quadrettini sono libera di farlo e soprattutto dovrei essere libera da ogni giudizio. Dare consigli non fa male, quello che danneggia è la rigidità direi quasi calvinista di alcune “dritte” della moda.

Fermo restando che ognun* fa quello che vuole del proprio corpo e della propria salute, quando si tratta di PCOS la quantità di grasso corporeo è collegato all’ovulazione (perdere peso in molti casi è indicato per far tornare l’ovulazione e la mestruazione). In questo caso, non pensi che la body positivity contrasti con quanto consigliato alle donne che soffrono di PCOS?
Assolutamente no, anzi grazie per la domanda così posso chiarire in tutto e per tutto una cosa. La body positivity non è un invito a trascurare la propria salute è semplicemente un movimento che cerca di far diminuire l’ossessione per l’estetica, il peso, il raggiungimento di obbiettivi non realistici e laceranti per il proprio sistema psico-fisico. Aiuta le persone ad accettarsi tra di loro in modo tale da combattere ogni forma di discriminazione.
Non c’è scritto da nessuna parte che la salute non è importante anzi, questo movimento nasce anche per permettere a chi si è visto ricevere per anni diagnosi sempre solo in base al proprio peso, di avere invece un trattamento meno superficiale da parte del sistema sanitario che come parametro tiene spesso in considerazione solo il BMI. Se avete problemi di salute io non sono nessuno per imporvi di curarvi, ognuno è libero di fare quel che vuole col proprio corpo però se avete tutte le possibilità e non lo fate siete anche un po’ irresponsabili.

DOMANDE DEL TEAM: LA PSICOLOGA

Una delle critiche più frequenti, quando si parla di grassofobia è “ma ora non si può più scherzare su niente”. Penso che capire che effetto fa una battuta grassofobica su una persona grassa aiuterebbe le persone a mettersi nei panni di chi si offende. Ti va di raccontarci una tua esperienza personale in cui sei stata vittima di fat shaming e come ti ha fatto sentire?
Era Pasqua di tre anni fa e stavo attendendo che un amico di mio padre venisse a prendere me e mia mamma per portarci in villa in campagna da mio nonno, non ero particolarmente felice in quel periodo, ricordo che la mancanza di un impiego fisso mi faceva sentire particolarmente frustrata.
A mezzogiorno l’amico di famiglia (che non mi aveva mai vista prima di allora) arriva sotto casa, io e mia madre usciamo dal portone e gridiamo un fragoroso “Buona Pasqua!!!”. Il tizio si volta verso di me, mi guarda dalla testa ai piedi e, senza nemmeno ricambiare l’augurio, mi fa: “devi fare un po’ di dieta”. Questo diciamo che è il ricordo più clamoroso e recente che ho ma tante volte mi è capitato di ricevere disappunti per la quantità di cibo che ingerivo o per la forma fisica costantemente sbagliata.
Diciamo che l’episodio di Pasqua 2017 è stato più un ricordo di cafoneria e di trattamento barbaro ricevuto; puntualizzare subito cosa non andasse in me è stato un gesto meschino, che mi ha portata a non mangiare nulla a pranzo e a non sedermi a tavola con tutti, portandomi a stare chiusa in un’altra stanza per tutta la durata della festa.
Tra l’altro l’ultima che avrei potuto passare con mio nonno, visto che l’anno dopo ci ha lasciati.

Che rapporto hai con il tuo corpo oggi? E come è cambiato nel tempo?
Ad oggi il rapporto con il mio corpo è di quasi neutralità, ci sono delle giornate in cui mi tornano varie paturnie, durante la quarantena sarà capitato almeno 6 volte, però ora ho la consapevolezza che tutto quello che mi faceva stare male prima era tutto quello a cui aspiravo.
Quindi diciamo che mi sto focalizzando più su chi sono ora e non su chi vorrei sembrare.

Molte PCOSine ci dicono che è difficile accettare il proprio corpo, dopo anni di fat shaming subito. Tu come sei riuscita a proteggerti dal fat shaming? Cosa ti ha aiutato (e potrebbe aiutare le PCOSine)?
No le PCOSine hanno ragione, non è facile accogliersi subito e forse potremmo non arrivare mai a farlo totalmente.
Nemmeno io posso proteggermi dal fat shaming sostanzialmente poiché non ancora riesco a manipolare i miei interlocutori facendo in modo che non mi offendano per il mio essere grassa. Scherzi a parte, un buon modo sarebbe cercare di rispondere a tono, senza contro offendere ovviamente. Dal fat shaming non ci liberemo mai se non ri-educhiamo noi stessi ad una cultura del rispetto verso chi è diverso da noi e se non invitiamo gli altri a fare la stessa cosa.

Siamo tutt* portatori sani di grassofobia? È davvero possibile imparare a slegare il grasso da tutti i significati che associamo? E come si può cominciare?
E’ possibile! Io personalmente ho trovato illuminante il confronto con persone totalmente diverse da me e professionisti di ogni campo che hanno iniziato ad avere un approccio anti-diet culture alla vita.
Non smetterò mai di ringraziare una mia insegnante che mi ha aperto gli occhi su tantissime tematiche (non solo body positive) e che con un solo gesto semplice, quello di prestarmi un libro ed una tesi di una splendida ragazza ora mia amica, mi ha permesso di studiare in maniera approfondita i corpi grassi, la figura della donna nella società e l’obesità vista come disabilità. Proprio il libro sopra citato, nella sinossi dice: “La parola grasso ha iniziato ad avere una percezione negativa dopo la seconda guerra mondiale quando l’industria del fitness e della dieta hanno spinto all’ossessione del corpo magro come modello”. Quindi ad oggi possiamo dire che siamo tutti figli di una cultura grassofobica e che sarà difficile staccarci da quelle convinzioni che abbiamo stampate nella mente. Quello che possiamo fare è cercare di approfondire questi argomenti, iniziare a seguire persone che divulgano un pensiero alternativo a quello che abbiamo sempre seguito e vedere gli altri o noi stessi, non come persone diverse ma brutte, ma come persone diverse punto, senza giudizi e pregiudizi. I valori lasciamoli alle analisi del sangue.

DOMANDE DEL TEAM: LA DIETISTA

In ambito sanitario, quando si parla di persone grasse si usano le terminologie “sovrappeso” ed “obes*” considerati come termini medicalizzati (e stigmatizzanti). Nonostante l’indice di massa corporea sia un indice poco affidabile, negli studi viene utilizzato per classificare ed avere una stratificazione dei partecipanti, quindi è molto difficile riportare tali studi senza utilizzare questi termini. Quale potrebbe essere un buon approccio a livello linguistico per superare l’utilizzo di tali termini?
Credo che l’unico modo sia quello di usarli come parametri o come aggettivi per diversificare le condizioni dei pazienti e non come appellativi.
Il termine ob-esus (e qui cito la tesi menzionata nella domanda precedente) etimologicamente ha già un giudizio di valore all’interno della parola stessa poiché sta a significare colui/lei che è troppo, che esagera.
La percezione che le persone hanno della parola obeso come se fosse un’offesa (più di sovrappeso) non è campata in aria, è un termine usato con disprezzo proprio per la storia che ha dietro. Va bene forse usarlo in ambito clinico, anche perché ormai è talmente diffuso che è difficile sradicarlo ma a questo punto direi di utilizzarlo con le dovute accortezze.

Rifacendomi sempre all’ambito sanitario, l’obesità o comunque una determinata percentuale di grasso corporeo è associata a determinate complicanze (es. molte ricerche hanno messo in evidenza come lo stato nutrizionale in gravidanza possa influenzare la salute futura del nascituro anche in età adulta, ma anche in difetto vedi amenorrea da squilibri), come si può non fare riferimento alla salute in questi casi?
Il tema della salute è molto delicato ed io che sono una semplice ragazza con una micro pagina su instagram non lo tocco quasi mai, proprio perché non sono competente.
E’ ovvio per me, il fatto che ognuno controlli la propria salute e diciamo che se c’è un obiettivo come quello di procreare temo sia impossibile non informarsi.
I professionisti dell’ambito medico dal canto loro non possono trascurare determinate problematiche quindi direi che bisogna tenere conto di queste cose e di chi si ha di fronte.
Ognuno ha un modo diverso di reagire, avere una comunicazione che tiene conto dell’interlocutore è sempre una carta vincente e soprattutto fa in modo che non diventi aberrante.

In conclusione vorrei citare una frase di Linda Bacon autrice del paradigma Healt At Every Size: “Hai un solo corpo e per quanto tu possa vivere bene la tua vita, potrebbe non cambiare mai, puoi permetterti di odiare te stess* per il resto della tua vita?”